La tragedia di Ischia rilancia, ancora una volta, la fragilità di gran parte del territorio. Ma, ancor più, rinnova la responsabilità di un suo uso dissennato, dove cementificazione selvaggia, abusivismo, mancata manutenzione, trasformano situazioni di rischio in vere e proprie calamità. Naturali? No, quando sono responsabilità dell’uomo.

Anche la Toscana è una regione ad alto rischio idraulico ed idrogeleogico. Per questo si è dotata di uno strumento, il documento operativo per la difesa del suolo, che ogni anno individua gli interventi prioritari per la messa in sicurezza delle aree a maggior rischio o interessate da fenomeni di dissesto, stanziando le relative risorse. Per questo ha una disciplina urbanistica, attiva fin dal 2005, che tutela dall’abusivismo e contiene il nuovo consumo di nuovo suolo. Per questo, dal 2011, l’anno dell’alluvione di Aulla, si è dotata di norme stringenti per regolare l’attività edificatoria in aree a rischio idraulico, condizionandola alla realizzazione di opere di messa in sicurezza. Per questo con la riforma del 2012 abbiano finalmente liberato tutte le capacità progettuali e operative dei consorzi di bonifica, per la corretta tenuta del reticolo idrografico.

Sappiamo che tutto questo non basta, se come cittadini non alziamo la nostra consapevolezza della delicatezza del territorio. E non teniamo comportamenti conseguenti. Penso alle piccole manutenzioni di fossi e rii privati. Penso alla cura del bosco. Attività da rilanciare, magari incentivando economicamente chi decide di intervenire non solo sulle proprie proprietà, ma, magari, anche su quelle abbandonate. Un’idea che lanciai nel 2020, in campagna elettorale (leggi QUI) vedendo la situazione delle zone più periferiche e montane della provincia di Arezzo. Un’idea parzialmente ripresa dalla nostra legge sui “Custodi della Montagna”. Un’idea che ora mi sento di dover rilanciare, sapendo di trovare orecchie attente.