Le elezioni dell’8 e 9 giugno, in Italia, hanno riportato lo schema politico verso un bipolarismo che lascia poco spazio a soluzioni terze. Un dato conosciuto dal 1994, quando la soluzione terzopolista del Patto per l’Italia, pur con un lusinghiero 20 per cento, complice il 75% dei seggi attribuiti in collegi uninominali a turno unico, si condannò all’irrilevanza politica.

Ancorché con un sistema proporzionale puro, le europee hanno sancito la dicotomia centrodestra – centrosinistra. ancora tali, fintantoché la coalizione della Meloni può contare sul quasi dieci per cento di Forza Italia. Ed il Partito Democratico, assolutamente vincente in questa tornata, su liste plurali, con ampio successo di amministratori che hanno dimostrato come essere riformisti non confligga con un progetto progressista.

A dire il vero, però, un “polo terzo” esiste. Purtroppo. Ed è quello di chi non va a votare.

L’astensionismo registrato più che un campanello d’allarme è un male della nostra democrazia. Da affrontare immediatamente.  Perché sintomo non di una libera scelta in una democrazia matura. Ma, come ci spiegano analisti e sondaggisti, di una perdita di fiducia dei cittadini sulla reale possibilità che la politica possa modifica in meglio le loro condizioni di vita.

L’aggressione alla Camera dell’altro giorno, con la successiva rissa, non aiuta a ricostruire un sentimento di fiducia. Ma questa ricostruzione deve essere fatta.

Il successo elettorale dei De Caro, dei Bonaccini, dei Nardella, dei Gori, dei Ricci sono il riconoscimento al buon lavoro fatto da questi candidati nell’esercizio delle loro funzioni di amministratori locali della cosa pubblica. Ripartiamo da loro. Nel centrosinistra come nel centrodestra. Chi ha ben amministrato è la migliore garanzia, per il cittadino, che la politica, davvero, può essere determinate nell’aiutarli a costruire un futuro migliore.