Le elezioni hanno consegnato il governo del Paese alla destra. Il Partito Democratico, pur risultando il secondo partito più votato, ha perso. Non ci giro intorno. Non mi indoro la pillola. Ha perso la sua proposta di governo, non premiata dagli elettori. Ha perso la sua volontà di costruire il campo largo, unica possibilità, con questa legge elettorale, per contrastare la vittoria delle destre.

Sul fallimento della proposta di governo, la responsabilità è nostra. Anche se continuo a credere che sia stato necessario sostenere il Governo Draghi, orientarne l’agenda e, infine, condividerla, come patrimonio da spendere nei difficilissimi mesi a venire. Mesi di crisi energetica. Mesi di guerra. Mesi di rischi per la tenuta socio-economica del Paese.

Sul fallimento del ‘campo largo’ tutto è stato fatto, da parte del PD, perché ciò non avvenisse. Ma Azione e Movimento Cinque Stelle hanno fatto altre scelte: i primi rinnegando in poche ore l’accordo raggiunto; i secondi anticipando la fine della legislatura per un mero tornaconto elettorale.

Ora c’è da pensare al Partito Democratico. A rilanciarne il progetto, che nel 2006 portò all’unione di grandi culture politiche del novecento – cattolicesimo democratico, socialismo liberale, socialdemocrazia – ancora attuali all’interno di uno strumento partitico vocato al migliore riformismo. Uno strumento che voleva – e, a mio avviso, vuole ancora – rappresentare tutta la società italiana, nelle sue diversità e nelle sue complessità.

Io vedo nella fase congressuale che è stata aperta l’occasione per attualizzare la missione del PD. Partito di cui c’è ancora bisogno. Con la sua vocazione riformista. Con la sua capacità di essere soggetto inclusivo. Con la sua ambizione ad essere rappresentante di tutta la società italiana.  Far nascere il PD è stato un grande atto di generosità delle donne e degli uomini che decisero di superare i partiti di provenienza per portare la politica italiana nel nuovo millennio. È una generosità che nessuno di noi si può permettere di sprecare.