Il Paese è in una situazione difficile: la ripresa dei contagi a ritmi sostenuti, in ragione del diffondersi delle ormai note varianti del virus, sta ricreando pressioni, che speravamo superate, sul sistema sanitario. Contribuendo a ritardare il già non facile processo di vaccinazione, i cui tempi lunghi prevalentemente dipendono dagli approvvigionamenti a singhiozzo.
La vaccinazione di massa, ormai è chiaro, dopo un anno di emergenza sanitaria, è l’unica arma che abbiamo per sconfiggere il Covid. Per questo deve essere massimo l’impegno di tutti i soggetti coinvolti a coordinarsi perché questa avvenga nei tempi più rapidi possibili. Confido che la nuova’ catena di comando’ individuata dal governo, con l’incarico di commissario al generale Figliuolo, consenta di superare una certa disorganizzazione che, in questo inizio dell’anno, si è vista in troppe regioni. Non in Toscana, dove francamente le disponibilità grazie sono state correttamente utilizzate. Personale medico, ospiti delle RSA, poi insegnanti e personale scolastico, ora ultraottantenni grazie all’accordo coi medici di famiglia e, dal 4 marzo, soggetti ultrafragili. Il sistema sanitario regionale, come si suol dire, ha fatto i compiti a casa, e sta marciando al massimo del regime che le dosi (e le tipologie di vaccini) in disponibilità gli consente.
In questo quadro conforta la notizia della ripresa delle prenotazioni turistiche in Toscana per la prossima estate. Un segnale di ottimismo, che dobbiamo coltivare!
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Ora parlo di PD. Le dimissioni da segretario di Zingaretti stanno acuendo, sulla stampa, una visione distorta del tema che il Partito Democratico è chiamato a svolgere. Dal corso della storia, più che dagli eventi della politica italiana. Se, infatti, focalizziamo lo sguardo su gli assetti organizzativi, pur necessari ed importanti per una comunità che vuole essere partito, perdiamo di vista la necessità di quella riflessione sull’identità. Che necessita di due punti fermi: la collocazione riformista e progressista del PD, riconducibile alla forma novecentesca del centro-sinistra, in conseguenza delle culture da cui il PD è nato, da un lato; la vocazione maggioritaria, intesa come ambizione a rappresentare, attraverso le politiche elaborate e messe in atto, la parte più ampia della società italiana. Sono i valori fondativi de Partito Democratico, non negoziabili, in assenza dei quali è il PD stesso a venire a mancare.
L’emergenziale sostegno al governo Draghi non può essere letto come laboratorio politico per il futuro. Non si può, infatti, costruire progetti politici nei contesti di emergenza o di necessità, dove il proprio progetto strategico è necessariamente condizionato da fattori contingenti.
Perché l’identità di un Partito che vuole essere componente duratura nella società necessità di un confronto con le domande che ogni modernità, affermandosi, impone. Come coniugare sviluppo e sostenibilità? Come far coesistere Stato e mercato? Come contemperare necessità di assistenza e costruzione di posti di lavoro? Come gestire il dovere della salute pubblica con il diritto alla libertà e all’autodeterminazione? Costruire le risposte a quelle domande è la sfida che il PD, a quattordici anni dalla sua nascita, oggi, affrontare. Perché sono le domande che il tempo attuale pone alla politica. Non si può scambiare la tensione di un partito verso questo processo per una lotta di potere e di poltrone. Che dei  partiti, anche se non si chiamano tali, è parte fisiologica. Ma non deve mai esserne il “tutto”. E che nel PD, quando c’è stata, non è stata però di una sola parte. Ad indugiare in questo travisamento, e ad alimentarlo, poi, si farebbe un danno. A tutta quella vasta comunità che ad esso guarda, ha guardato, guarderà. Come una speranza per un futuro migliore.