Colpiti dalla Pandemia, presi dal Green Pass, concentrati sulla ripresa economica attraverso il PNRR, non ce lo aspettavamo. Sinceramente, non immaginavamo di vedere quel che in queste ultime settimane si è concretizzato in Afghanistan: il ritorno al passato oscuro del regime talebano.

Un ritorno che il popolo afgano non voleva, come dimostrano le resse all’aeroporto di Kabul per trovare un posto su un aereo che porti comunque fuori dallo stato. Il ritorno – per molte ragazze la terribile, prima scoperta- dell’annullamento dei diritti delle donne. Il ritorno della shari’a dei talebani.

Quel che stiamo vedendo ci sciocca. Forse qualcuno si era illuso che il ritorno al potere degli “studenti coranici” avrebbe portato un esito diverso. Ma i fatti di questi giorni, di queste ore, dimostrano il contrario. Che le lancette della storia, per il popolo afghano, sono inesorabilmente tornate indietro.

Che fare? Intanto accogliere i profughi, come hanno deciso di fare i sindaci della Toscana, e supportare una posizione unitaria a livello globale che,come ricordato anche dal Premier Draghi, non offra alcuno spazio ad unilaterali riconoscimento di legittimità per l’emirato talebano. Riconoscimento impossibile in assenza di garanzie sul rispetto dei diritti minimi che lo stare nella comunità internazionale presuppone. Garanzie oggi palesemente assenti.

Soprattutto, col passare dei giorni, delle settimane che verranno, non tentare di volgere lo sguardo da qualche altra parte. Perché solo una costante, continua attenzione verso quel popolo costituisce l’unica ancora di salvezza perché esso non ricada nell’oscuro medioevo che ha già così dolorosamente sperimentato.

Ecco, questo dobbiamo imporre a noi stessi: non dimenticare Kabul. Anche per rispetto alla memoria delle 53 vittime italiane di questo ventennio di presenza militare. E di quelle famiglie che si stanno domandando, ancora di più, il senso del sacrificio sofferto.